Roma -7 novembre 2024 _ Totò e Vicé, teneri e surreali clochard nati dalla fantasia di Franco Scaldati, sono i protagonisti dello spettacolo in scena al TeatroBasilica dal 7 al 10 novembre.
Registi e interpreti Enzo Vetrano e Stefano Randisi, artisti di straordinaria sensibilità, negli anni ’80 hanno incontrato la poesia di Franco Scaldati poeta, attore e drammaturgo palermitano, stringendo un sodalizio che dura da quarant’anni.
Totò e Vicé sono legati da un’amicizia reciproca assoluta e vivono di frammenti di sogni che li fanno stare in bilico tra il mondo terreno e il cielo, in un tempo imprendibile tra passato e futuro, con la necessità di essere in due, per essere.
Il teatro, il vero teatro, il teatro che ti toglie il fiato con un nulla, il teatro che non distingue tra vivi e morti, il teatro che ti sfugge di mano e intanto però ti insegna il mistero dell’amore, il teatro che mette in scena due poveri cristi in una penombra di lumini e modeste luminarie e di fatto ti fa sentire l’insopportabile luce della felicità, il teatro che ti sembra logoro ed effimero e che al contrario ti riempie l’anima fino alla commozione più grata. Questo teatro l’abbiamo conosciuto come un miraggio in una notte in cui sono spuntati Enzo Vetrano e Stefano Randisi, valigia di cartone in pugno, a dire e ridire attorno a una panchina con disorientata bellezza le battute umanissime di Totò e Vicé…
"L’opera è un testo labirintico e modulare – spiega il drammaturgo palermitano Franco Scaldati - che si evolve in una inesauribile dialettica tra finito e non-finito. Totò e Vicé sono maschere interscambiabili, coppia comica tra innocenza e follia, rappresentano la base del cammino dal noto verso l’ignoto. Essi vivono il gioco e giocano con la vita, sperimentano, come per la prima volta, la fisicità, l’istinto, la materia, il cosmo, il sogno. Dalla loro forza di smascheramento, in tensione perenne con la vita stessa, nasce l’assurdo: una dimostrazione della contraddittorietà dell’esistenza, sottrazione alla logica coerenza della natura, apertura verso il non-senso.
Totò e Vicé sono a metà tra diavoli ed angeli, adulti e bambini, incarnano il principio giocoso della vita, hanno la forza eversiva che distrugge ogni falsa pretesa di razionalità.
Totò e Vicé si chiamano, si cercano, si fanno domande, ma eludono sempre le risposte; la struttura dialogica di tutto il testo segue un andamento secondo cui ad un interrogativo ne segue un altro, speculare o identico. La risposta è sempre uno sdoppiare la domanda.
Il mondo è infinito, per Totò e Vicé, essi infatti sono disponibili alla possibilità che esso abbia interpretazioni infinite, passaggi infiniti da uno stato all’altro. Totò e Vicè vivono l’uno nell’altro, in una reciproca alterità/identità, in cui continuamente perdono e trovano i propri confini di individui, rivendicano, candidamente, il loro carattere giocoso, ma il loro è un gioco distruttivo che porta verso il nulla, che gioca con la morte. Ed è in questa zona di confine tra la vita e la morte che essi hanno dimora, come se vita e morte fossero il riverbero l’una dell’altra. Ne viene fuori un’idea della morte come altro volto della nascita, una morte che è anche reversibilità da una condizione ad un’altra e che si confonde con il sonno”.
Foto cortesia dell’Ufficio stampa Maya Amenduni