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Alla ricerca dello Speaker perduto

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di Angelo Pugliese-Jim Jordan e Steve Scalise si contendono il posto di Presidente della Camera degli Usa. Il Partito Repubblicano al bivio: Dare l'anima al Trump o rivendicare la tradizione di Lincoln, Eisenhower e Reagan?

Il tempismo con cui i “feddayn” repubblicani vicini a Donald Trump hanno attuato l'operazione che ha portato al voto di sfiducia e quindi alle dimissioni dell'oramai ex Presidente della Camera dei Rappresentanti, il californiano Kevin McCarthy può essere considerato o “sospetto” o “improvvido”. O tutti e due.

Resta il fatto che gli Stati Uniti sono senza la terza carica in linea di successione della catena di governo nel bel mezzo di una altra crisi internazionale, forse per certi aspetti, anche peggiore di quella ucraina, quella che potrebbe vedere presto un conflitto medio-orientale su vasta scala.

La scelta che si va a profilare è tra due repubblicani che non sono nati trumpiani ( come del resto non lo era nemmeno lo speaker uscente McCarthy)ma che sono diventati trumpiani “per necessità”.

 

Ed è proprio questa “necessità” che rimane il punto dolente dell'attuale situazione del “Grand Old Party”, il Partito Repubblicano che nella storia degli Stati Uniti d'America ha espresso Presidenti come Teddy Roosevelt, Ike Eisenhower, Ronald Reagan e i Bush padre e figlio. Onestamente una storia molto diversa da quella rappresentata dalla Presidenza di Donald Trump che nei suoi lunghi tumultuosi 4 anni di mandato ha lasciato un America divisa e che con il suo patrocinio agli eventi del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill ha inferto la ferita più grossa alla democrazia statunitense negli ultimi 50 anni.

Ora che lo spettro di una nuova Presidenza Trump inizia ad aleggiare il Partito Repubblicano “per necessità”, per inseguire il suo “running mate” sta continuando quella mutazione genetica dove le idee di Reagan, di Bush padre e figlio ma anche quelle dei buoni candidati che sfiorarono la  presidenza come John McCain o Mitt Romney, sono messe da parte per un populismo isolazionista e complottista.

Jim Jordan più di Steve Scalise rappresenta questa “resa” al trumpismo duro e puro, anche il secondo non scherza in quanto a compromessi con il lessico dell'ex Presidente.  Del resto se l'alternativa è che qualcuno possa addirittura fare eleggere alla terza carica del Paese lo stesso Trump ( cosa che non è espressamente vietata dalle norme americane, sebbene il miliardario newyorkese non sia membro del Congresso degli Usa), è chiaro che la classe politica repubblicana di una volta o quello che ne rimane, possa decidere di fare un sacrificio minore eleggendo uno Speaker che come il precedente rischia sempre di essere sotto la spada di Damocle di un voto di sfiducia chiesto da un piccolo numero di deputati.

Non rimane che aspettare e vedere che succederà.

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